Nuvola Rosa

È partito il Giro d’Italia. Era ora. Non se ne poteva più. E tutto è subito più rosa: dal cielo al mare, alla maglia. Chi vincerà? Non lo sappiamo, possiamo fare delle supposizioni: io, ad esempio, dico Remco Evenepoel. Il belga prodigio della Soudal Quickstep. Ma altri rispondono Roglic. Insomma, vediamo. Io qui volevo parlarvi di altro. Ovvero di uno che rosa lo è stato dentro. Felice Gimondi. E della storia di questo suo straordinario soprannome coniato durante il Giro d’Italia, vinto dal bergamasco, nel 1976, dal più grande giornalista sportivo di tutti i tempi, Gianni Brera fu “Carlo”. Ecco quindi sotto un piccolo shottino dal mio ultimo libro “Itinerario Felice: da Bergamo a Brescia lungo le strade di Gimondi”.

Il ciclista è per sua natura come il flâneur di Baudelaire che vaga apparentemente ozioso, in realtà raccogliendo impressioni, indizi, sbirciando curioso ovunque. Il ciclo-viaggiatore, più che il “ciclista” agonista, è in perenne ricerca, assetato di sorprese e cose da vedere come fossero ossigeno. Contempla tutto, immagina, va a caccia di imprevisti, adora inciampare in persone, cose strane, emozioni sconosciute, ma soprattutto memorabilia. Ovvero, nel nostro caso: tracce di un campione che fu e che qui mosse i suoi primi passi alla conquista del mondo.

Tra questi scorci, mentre ci lasciamo alle spalle lo stadio di Bergamo e imbocchiamo la Greenway della val Brembana, impossibile non vederci anche lui a pedalare con noi. Felice Gimondi. Colui che Gianni Brera, con una fantastica intuizione, nel 1976, definì Nuvola Rosa. La raffinatissima e gaddiana penna, ideatrice di soprannomi entrati nella storia, si riferiva in quel caso al grande capo indiano, Nuvola Rossa (con due esse), che nel XIX secolo si era opposto alla costruzione di una ferrovia nella sua terra da parte dei colonizzatori americani. La Bozeman Trail, binari che avrebbero dovuto collegare il Wyoming alle riserve aure del Montana. Oro puro, insomma.

Come Nuvola Rossa, anche Felice, durante il Giro d’Italia del 1976, compì un miracolo. Respinse tutti gli attacchi degli avversari e conquistò la maglia rosa. Una resistenza che al visionario giornalista apparve stoica e ferrea, a tal punto da trasformarsi in vera e propria poesia. Nuvola Rosa vinse, ormai a fine carriera, contro tutto e contro tutti, quell’edizione del Giro d’Italia.
Un ultimo prezioso tassello a una storia iniziata undici anni prima con la maglia gialla a Parigi.
Noi oggi però, mentre pedaliamo tra le fronde di Sombreno di Bergamo, Nuvola Rosa lo immaginiamo in maglia azzurra con la scritta bianca su fondo nero “Salvarani”, la S grande, e in testa il suo fedele ed elegantissimo cappellino bianco. Una silhouette esteticamente ineccepibile. E ancora oggi – non a caso – quella maglia, realizzata con i medesimi tessuti in lanetta di allora, viene riprodotta e venduta online insieme ad altri cimeli del grande campione sedrinese. A comprarla ci sono appassionati di tutto il mondo.


Come Nuvola Rossa, anche Felice, durante il Giro d’Italia del 1976, compì un miracolo. Respinse tutti gli attacchi degli avversari e conquistò la maglia rosa. Una resistenza che al visionario giornalista apparve stoica e ferrea, a tal punto da trasformarsi in vera e propria poesia. Nuvola Rosa vinse, ormai a fine carriera, contro tutto e contro tutti, quell’edizione del Giro d’Italia.
Un ultimo prezioso tassello a una storia iniziata undici anni prima con la maglia gialla a Parigi.
Noi oggi però, mentre pedaliamo tra le fronde di Sombreno di Bergamo, Nuvola Rosa lo immaginiamo in maglia azzurra con la scritta bianca su fondo nero “Salvarani”, la S grande, e in testa il suo fedele ed elegantissimo cappellino bianco. Una silhouette esteticamente ineccepibile. E ancora oggi – non a caso – quella maglia, realizzata con i medesimi tessuti in lanetta di allora, viene riprodotta e venduta online insieme ad altri cimeli del grande campione sedrinese. A comprarla ci sono appassionati di tutto il mondo.

Le caviglie affusolate di Felice, la pedalata sempre rotonda, leggera e regolare, senza ondeggiamenti, con il busto perfettamente composto e fermo in sella, quasi fosse un cerbiatto che si aggira in mezzo ai boschi, fa invidia ancora oggi a tanti professionisti. Chiedete a Vincenzo Nibali, ritiratosi nel 2022 dal professionismo, che tanto gli somiglia nei connotati e che spesso, per stile di pedalata, a Gimondi è stato accostato.

La nostra, invece, nonostante i tentativi di correggerla, è ovviamente più goffa e lenta. Siamo due amatori, Daniele e io, e anche se ci difendiamo percorrendo diecimila chilometri l’anno, non andremo mai forti e leggeri come lui.

Eppure, sarà l’aria che si respira qui, il profumo di terra bagnata e di fuliggine dei primi camini accesi, oppure la leggera foschia di un’alba d’autunno che avvolge alberi e case in un’atmosfera d’altri tempi, fatto sta che pure noi ci sentiamo elegantissimi. Come Gimondi e Nibali (…)

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