L’uomo che non c’era.

 

Schermata 2015-03-07 a 23.01.05

Quanto saresti piaciuto a uno come Sartre.
Tu che non piacevi nemmeno ai francesi. Tu che non piacevi nemmeno a te stesso.
Tu che eri sempre altrove, anche quando eri presente, magari sul podio.
Quando attaccavi, lo facevi a modo tuo: così meravigliosamente senza strategia.
Tu che mettevi sempre gli occhiali davanti a tutto. Ti si appannavano in salita, te li dovevi pulire con i guantini, magari imprecando. Ti scivolavano sul naso in discesa, li rispingevi in su con un gesto nervoso della spalla. Il manubrio non si molla.
Eppure a loro non rinunciavi mai.
Quasi fossero un tratto distintivo: io non sono come gli altri ciclisti. Io sono il “Professore”.
Biondo, occhi azzurri, fisico dannatamente asciutto. Quanto basta per vincere.
Codino fuori tempo massimo (siamo nel pieno degli anni Ottanta) e infine, in testa, una improbabile fascetta alla Bion Borg.
Un tennista a pedali, un ciclista dall’anima dandy.
Hai giocato tutta la vita contro un avversario immaginario, professore. Qualunque esso fosse.
Avevi l’aria perennemente distante e forse lì, nel momento, non c’eri mai per davvero.
L’hai capito soprattutto quella volta a Parigi, a due arrondissement da dove eri nato. Tour de France ’89, tu e l’americano, Greg il tremendo.
Quella volta Lemond ti portò via un Tour che avevi già vinto, per soli 8 secondi. 8 secondi. Cosa sono 8 secondi?
A te che ne avevi 50 di vantaggio.
Bum. Volati via. In un amen. In una tragica crono finale.
La vittoria per distacco minore che sia mai stata registrata in una corsa a tappe. Un incubo. Una tragedia. Un evento per cui da solo si potrebbe scrivere un romanzo.
Quel giorno di luglio del 1989 non te lo toglierai più di dosso. La maglia gialla sporca d’asfalto – ti ci eri gettato esanime tagliato il traguardo – quella invece sì. Eppure tu anche dopo l’arrivo non la volevi lasciare a Greg che la reclamava a gran voce. Te la tenevi stretta sulle spalle. No, cosa è successo? Come dite, ho perso il Tour?! Impossibile.
8 fottuti secondi. Cosa sono?
Il tempo di bere un sorso d’acqua, una piega sbagliata, una traiettoria presa senza la solita, dovuta, precisione. Tutto ciò a un professore non si pedona.
Pluff! Il giallo sbiadisce in bianco.
Lemond ti avrà recuperato tutti i 50′ di vantaggio che avevi su di lui e te ne rifilerà altri 8′. Un minuto, poco meno, che pesa come un macigno.
Il Tour è suo. All’ultima tappa, nella tua città, sotto gli occhi increduli dei tuoi famigliari. Parigi, crudele Parigi.
Ecco per me il Professore, come lo chiamavano, con gli occhi stralunati resterà per sempre quello lì. Quello di quegli otto maledetti secondi.
Non li ha mai più recuperati, nemmeno nella vita.
Avevi vinto tanto: 2 Tour, 1 Giro, 2 Milano – Sanremo. Fino a quel tonfo sonoro parigino.
In un attimo, avevi sentito la gettatezza, la gratuità dell’esistenza. Come sopraffatto da una forza superiore.
Una forza che non era quella del tuo avversario diretto, non era la classe, indiscutibile, di Greg Lemond. No, era qualcosa di tremendamente più crudele, subdolo. E tu lo sapevi. Avevi visto quell’altrove che gli altri non vedevano. Hai sentito l’alito gelido del destino, quel “nessuno ti regala niente” che è insopportabile per qualunque campione.
Sei stato un grande, Laurent, uno di quelli che non sono solo dei ciclisti. Uno di quelli che “Ma chi te lo fa fare?” se lo portano dentro. Uno di quelli che vedevo di lontano, mentre giocavo con i soldatini in corridoio, e magicamente sentivo fraterni.
E così eri altrove anche quando, un giorno di primavera, dopo un controllo di routine, di quelli che dopo i cinquanta è normale fare, ti han detto che avevi un cancro.
Tre, quattro mesi di vita al massimo. Non di più.
Quattro mesi che vuoi che siano per uno che ha perso tutto per 8 secondi?
Però che vita, la tua, Laurent. Formidabile.
Che la terra continui a esserti lieve e che gli occhiali continuino ad appanartisi in salita.