Storia di una droga pesante.

Cause makes me feel like I’m a man, when I put a Galibier into my vein.

Sì, tutto è vano, tutto è inganno, fuorché questo cielo sconfinato. Nulla, nulla esiste all’infuori di esso. Ma neanche questo esiste, nulla esiste, all’infuori della quiete, del sentirsi placato
(Lev Tolstoj – “Guerra e Pace”)

Dovete sapere, care lettrici e cari lettori, che sono giorni che la mia testa si inerpica sul Galibier.
Lo percorre a ritroso, prova a risalirci su con i sogni. Ma poi, arrivata in quel del Plan Lachat, o giù di lìella vi si inceppa. Una sinapsi celebrale entra in cortocircuito. L’allarme risuona e giunge fino ai centri celebrali dell’attenzione razionale.
Il messaggio è chiaro: la voglia di tornarci davvero, di esser là senza inganno, e non per finzione, mi prende come una droga.
Già. E chi mi ci riporta ora lassù?
Ho bisogno del Galibier, mamma. Me lo dai?
Poi ci penso e mi accorgo, come per magia, che, a dir il vero, io di Galibier, da quel giorno, ne porto con me un pezzetto ogni giorno. Stipato nel taschino della giacca.
Ne ho sempre dietro una piccola dose, come la pozione magica di Panoramix, nella fiaschetta.
È il mio Xanax. La mia droga mescalina. Il cortisone delle mie illusioni. Il luogo dell’anima. Almeno, della mia.
Della vostra non so. Certo, se non vi siete ancora andati, non posso che consigliarvi di rimediare in tempo utile.
Poi fate come credete.
Oh sì, vedete, in pochi posti si sta bene come sul Galibier.
Già, perché se voglio, io, sul Galibier ci vado anche adesso.
Mica ho bisogno della bicicletta.
Mi basta chiuder gli occhi.
E…zac! In un istante son là.
Ce l’ho tutto davanti, da Valloire alla vetta. Fino a scender al Lautaret. Ecco infatti che lo vedete lassù.
Nessuna salita, nessun posto, nessuna meraviglia mi ha lasciato tanto quanto mi ha dato (e mi dà) il Galibier. In termini di sogni, suggestioni, endorfine, certo, ma anche tranquillità interiore, benessere pisco-fisico, amore per la vita. La pace dei sensi.
Già, le Galibier. Con quel suo nome da vecchio generale tolstojano, uscito diretto da Guerra e Pace.
In cima ci ho incontrato, ne sono certo, il Principe Andrej, ferito a morte e sorpreso a contemplare la serentià inusuale di un cielo senza nuvole, come un lago senza fango. Mentre tutti i conti, in sospeso con la vita, improvvisamente gli tornavano.
Tutto ha un senso, in cima al Galibier.
Il suo profilo massiccio rassicura l’animo indeciso, la sua coltre di nubi minacciose si rivela panna montata. La neve, presente anche nelle più torride estati, carezza i cuori.
La sinuosità dei tornanti coccola come si foss’ angeli alla sua tavola.
Una volta scesi, si continua ad avere piccoli flash di quella sensazione. Mini-shots di endorfine. Ma non siete più a 2.640 metri sul livello dei sogni.
Si è ventre a terra. Le nuvole, qui giù, sembran nuvole, la neve solo neve, i tornanti solo tornanti.
Però, si sorride ancora. Si sa che, una volta stati lassù, in un certo senso con i piedi per terra si torna più.
Vedete,  a me è bastato andarci una volta. E puff! Il Galibier ora è parte di me. Nessuno me lo toglie più.
Quando ho dei momenti di incertezza, paura, o sconforto, chiudo gli occhi: e lui, come per incanto, è là. Chiaro, ed esplicito. Come il cielo che il principe Andrej, ferito ad Austerlitz, vede.
Fate la pace con le emozioni. Venite sul Galibier.

PS: Ed è di questi giorni notizia di un prossimo, splendido, sconfinamento della Corsa Rosa oltralpe: 19 maggio 2013, tappa Cesana Torinese – Col du Galibier.