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Chiedete la luna.
Io non lo so. Forse, come dice il mio amico nicko67, autista ATM nel tempo libero, ciclista in corpo di uomo nella vita di tutti i giorni, noialtri potremmo farne 400 mila. O forse no.
Non cambia.
Il punto è uno solo: “raccontare un giorno ai nipoti quello che hai fatto. Non quello che avresti voluto fare”.
Chi parla è il mio amico Guillaume Prébois, corrispondente per Le Monde, ciclista nel tempo perso, e ritrovato.
Ho conosciuto Guillaime, anche se solo via mail, 3 anni fa, e fu subito amore. A prima vista.
Uno che si è fatto il giro del mondo in bicicletta, che ha percorso a pane ed acqua Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta (in barba al dottor Fuentes e ai sui intrugli ematici) non poteva che finire sulla mia strada.
Non si è messo di traverso, mi ha regalato una bellissima scia emotiva, alla quale accodarmi: quella dell’impresa, portata a termine in solitario, come un Soldini dei pedali, giorno per giorno. Una scia fatta di burrasche, mare grosso, e paura, ma anche una scia fatta di meraviglie e pelle d’oca. Lo shining, quello che c’abbiamo noialtri quando agganciamo il pedale.
La costanza che si trasforma in passione e che ti porta, per gradi, giorno per giorno, a fare la Maratona dles Dolomites. E a tagliare la linea del traguardo, tra montagne incantate e mucche scampananti, con la netta consapevolezza che questa la racconterai. Oh sì che la racconterai. L’hai fatta grossa.
Siamo canaglie noi ciclisti, e abbiam bisogno di marachelle emotive forti. Come piacerebbe a Conrad.
Beh, tornando a noi: Guillaime , quel meraviglioso satanasso, muscoli e fibre, ne ha combinata un’altra delle sue. Di marachelle emotive.
385.000 m. di dislivello in un anno. Tutte le salite possibili e immaginabili che può trovare. Dai piccoli colli della Spagna, ai Pirenei, alle Dolomiti e lo Stelvio, passando per Gavia e Zoncolan. Una media 1.400 m. di dislivello al giorno, metro più metro meno, per 365 giorni. Un manifesto al Dio dislivello. Un omaggio a tutti quelli come me, che non concepiscono le due ruote senza l’inclinazione. Perché?
Semplice: perché vuole la luna.
Già, 385.000 metri di dislivello sono un millesimo della distanza tra la terra e il suo satellite. Un’idea suggestiva, onirica e a suo modo meravigliosa. Già, cosa è il salire se non la metafora della fuga dalla terra, con le ali ai piedi?
Mi viene in mente cosa campeggiava nel sito personale di Marco Pantani, il giorno dopo la sua morte: un piccolo video animato che mostrava un piccolo ciclista con la bandana gialla e la benda da pirata salire via via, fino a innalzarsi dalla terra.
Salire è un po’ un’utopia malinconica, forse. Chi lo sa.
Ma chi mena il cinquanta, ha bisogno del trentaquattro e di scalare i rapporti. Senza l’asfalto che si piega alla vista, si sente perduto. È la nostra fuga, vogliamo la luna. Lasciatecela prendere.
Grazie Guillaime, ora che ci penso ti mando una mail. Chissà che non ci si faccia il Gavia assieme quest’anno.
More info: guillaumeprebois.com