Bitume su tela.

Foto pericolose: guardare ma non toccare.

Sì, insomma: guardare, ma maneggiare con cura, molta cura.
Queste non sono fotografie. Sono proiettili puntati con la capocchia conficcata negli occhi di chi le guarda. Il siero penetra dal bulbo oculare rapido e raggiunge a galoppate folli il cuore. Il contagio è immediato. La salvezza pressoché impossibile. Queste foto, signore e signori miei, sono un pugno nello stomaco.
Se iniziate a guardare questi ritratti, non riuscirete più a staccarvene: e vorrete tutto. Tutto cosa? Beh, state a sentire che mo’ ve lo spiego.
“Peloton”, in Francese, letteralmente “piccola palla”, indica il grosso, la pancia del gruppo in una gara ciclistica. Ciclisti spesso anonimi, che non avranno mai le luci della ribalta, oppure, come Charly Wegelius, ciclisti che non vinceranno mai una gara che sia una.  Eppure “il loro coinvolgimento emotivo e agonistico, la loro partecipazione anima e cuore alla corsa sono ciò che rendono questi gregari degli eroi”.
Parole di Timm Kölln. Fotografo berlinese che ha venduto l’anima alla pedivella.
“The Peloton” è la sua ultima fatica. 5 anni di duro lavoro e d’amore a correr dietro ai polpacci, ai pignoni e alle salite. Con una vecchia fotocamera analogica relfex. Niente digitale. Solo la cara, vecchia pellicola e il bianco e nero, in tutte le sue infinite e spasmodiche tonalità d’emozione. Timm fotografa quasi il 90% solo in pellicola. Chissà dove se le procura, verrebbe da chiedersi. Eppure se le procura e i risultati sono sbalordenti. Bitume su tela. Emozioni a fiori di pelle.
Ha cominciato per caso. In una calda estate del 2004, sulle Dolomiti, in vacanza in bici. Ignaro, egli che proprio sotto il suo naso sarebbe passato il Giro e tutta una nuova vita per lui. Eh già. Da allora fino ad oggi ha scattato centinaia di ritratti. Il suo set immaginifico: la linea del traguardo. Anzi un centimetro più in là: Tim fotografa solo ed eslcusivamente i cilisti un secondo dopo la linea dell’arrivo. Con la faccia stravolta, con misto di pensieri, paure, gioie e delusioni: un tumulto dell’animo dipinto sul volto. E ci riesce bene. Come nessuno.
Timm per 5 anni ha viaggiato a seguito delle più grandi corse ciclistiche (a tappe e non) per cattuare e congelare per sempre i ciclisti, quelli famosi, i “kings of the road” come li definisce lui nella lunga intervista che appare nel clamorosamente bello blog di Rouleur, ai greari, sconosciuti cavalieri della sofferenza: il gruppone silente, che custodisce le maglie colorate. A volte rosa, a volte gialle. A volte a pois. Come un tesoro cui restar fedeli e non chiedere niente in cambio.
Sta di fatto che i ritratti di Timm mozzano il fiato. E la pedivella. Sono le più penetranti e indelebili lastre fotosensibili che il ciclismo e la strada abbian mai visto.
Insomma, Avedon formato salita. Marilyn Monroe con il volto stravolto di Mark Cavendish. Truman Capote con quello di Fabian Cancellara. Giù giù, fino a quei compagni mai conosciuti e che mai conosceremo. E che pure sono forse la parte più bella dell’immenso lavoro di Timm Kölln. Il quale, ovviamente, pedala e pedala eccome. E suda, soffre dietro alla fotocamera come fosse in gara. Sentite cosa dice: “Io e Herbie Sykes (giornalista) facevamo qualcosa come 700 km al giorno per fare solo 4 interviste, eravamo a pezzi, ma se vuoi produrre un libro come questo, non ci sono compromessi”.
E compromessi non ci sono stati, caro Timm. Il tuo libro è un capolavoro. Ritratti da paura dal mondo della strada, accompagnati da sapienti interviste. Una pietra miliare da custodire nell’angolo di casa pericoloso. Lo stesso dove ci sono la winter jacket Assos e le chingaglierie Rapha. Un giorno i vostri figli vi ringrazieranno.
Ah, se vi interessa “The Peloton”, dal 19 novembre lo potete ordinare qui.





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