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Ferri del mestiere.
Toc- toc. È permesso?
Scrivere è un mestiere che si impara a bottega. Un po’ come pedalare.
E io ho bussato. Forse, ma dico forse, mi è stato aperto.
Scrivere è una bellissima cosa. Personalmente, una ragione di vita.
Le mie armi personali di resistenza al logorìo della vita moderna sono tastiera, libri e pedivella.
Pedalo ed elaboro il pedalato.
Macino km e li riverso su carta.
Salgo e penso a quel che scriverò.
Perché si scrive?
Si scrive perché, forse, si cova una insoddisfazione interiore atavica. Oppure perché non se ne può fare a meno. Che poi sono la stessa cosa.
Io scrivo per tanti motivi. Non me li sono mai chiesti. Non li ho mai passati in rassegna uno ad uno. Ma scrivere mi fa star bene. E quando leggo certe pagine, di certi autori, mi nutro di un latte materno che altrove non troverei tanto facilmente. Come per la pedivella. Stessa cosa.
Mi sono messo a scrivere tardi, quando forse non mi ero accorto che poteva anche essere bello. E ho scoperto che invece per me era pane. Pane e consonanti. Focaccia e semantica. Sfilatino e figure retoriche.
Bene, se oggi scrivo, lo devo molto alle esperienze che ho fatto e, soprattutto, alle persone che ho incontrato. E che sì, in una parola, senza falsa retorica, mi hanno fatto sentire bravo. Capace di scrivere. Capace di farmi leggere.
In particolare, c’è una persona che è stata determinante per me, e che oggi sta attraversando un momento difficile. Questo post va a questa persona come un abbraccio sincero. Gli devo molto. Non è detto che lo sappia.
Chi è? Fatti miei. Mica devo rendervi conto di tutto.
Veniamo al pedalato. Che, invece, vi riguarda molto e da vicino.
Ieri, grande fiera del reggisella, sagra delle endorfine e della compagnia satirica.
Un gelataio, un autista dell’ATM, un avvocato, un consulente finanziario, un cardiologo e un grafomane spinto – il sottoscritto – si incontrano davani alla Villa Reale. E subito è bagarre: l’avvocato e il grafomane vanno in fuga d’amore. Senza preavviso. Alle prime ondulazioni millimetriche, quelle che anticipano il Monticello in quel di Carate. Senza metter la freccia. O, meglio, mettendo la freccia del ciclista: ingranando il 50 anche in salita. Ritmo folle per due sull’ascesa al Monticello. Si gioca assieme con altri due bambini dalla pedivella facile, incontrati salita facendo. Ci attacchiamo come le api al miele, per non lasciarci più, in un delirio autistico da erotomania conclamata per il pignone. Un abbraccio erotico, fatto di Neutron Ultra, LightWeight, Zipp e tutine firmate. Si agguanta la vetta, con un fiato degno di uno Stelvio.
Gli altri arrivano alla spicciolata. Incazzati come delle bestie per la fuga non preventivata.
Dopo aver visto la Madonna, del ciclista, si piega alla rotonda e si prosegue per Viganò-Sirtori. Altra garetta tra bambini. Questa volta “Il conducente” ristabilisce i ranghi e “svernicia” tutti, salutandoci.
Discesa su Perego: si scruta la deviazione per il Lissolo che- tutti lo sappiamo- di lì a poco ci avrà. La condanna è segnata.
Guadagnamo la Bevera tra battutacce di quart’ordine e scatti malfamati. A Castello, riprendiamo la condanna del dislivello. Non paghi, poi, alla rotonda del Colle, continuiamo, ansimanti e masochisti, nelle grinfie del mitico “Giovenzana”. 3 km, con picchi al 13%. Mica paglia.
Li guadagno per primo. Seguito a breve dall’avvocato tarantolato, che tra poco poggerà le chiappe su una Cervelo S3 con ruote Zippate.
Si scende nel bosco, lungo la statale dissestata e sventrata dalla neve caduta. Il tepore ci regala emozioni impagabili: chi se la ricordava la primavera?
Rientro via Lissolo, con mattanza collettiva al 15%.
A ranghi compatti in trenino, tra i 45-50/h il rientro da Casatenovo. Brividi lungo la schiena.
A Villa Santa la comune si scompone e a Milano ognun per sé.
Finalmente si torna a far sul serio.
E a scrivere come ti hanno insegnato.
Totale distanza: 101 km
Dislivello: 1186 m.
V/M: 25,67 km/h
(fonte immagine: Cinelli Facebook)