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Colazione a ripetere.
Stavamo dicendo? Ah sì: la domenica mattina la moglie del ciclista si alza e non lo trova nel letto.
Egli s’è alzato alle 7. Come sempre. E, come sempre, s’è mosso rapido, senza far rumore, tra le mura addormentate. Rapida sbirciata alla finestra: albeggia, previsioni confermate, sarà una splendida giornata di sole. Passaggio nel bagno di servizio. Tra la lavatrice e il piatto doccia, nel vano calorifero egli trova la divisa da American Cyclo, accuratamente preparata la sera prima dopo pastasciuttone clamoroso (i carboidrati sono un must imprescindibile prima di allenamento pesante o gara). In pochi secondi il “ragazzo della porta accanto” si trasforma nel pericoloso ciclista pericoloso. Pronto a scolpire l’asfalto della Brianza come una scheggia, assieme al fedele compagno di malattia: Mario, detto anche Il pitone di Coni Zugna. Praticamente: due uomini in calzamaglia.
Ma prima, il rituale compulsivo della colazione. Minuziosamente e ossessivamente replicato in maniera identica a sé stessa, ogni santa domenica che il buon Dio manda in terra.
Banana, ingurgitata con sguardo ebete fisso sulle icone magnetiche incastonate a mo’ di mosaico di post-it, sullo sportello del frigorifero. Pensieri: zero. Domande molte: perché lo faccio? Chi cazzo me lo fa fare? Risposte: nessuna.
La banana fa il suo ingresso nel tubo digerente che, non ancora divenuta “bolo alimentare”, viene rapidamente seguita da una crostatina Mulino Falso (il ciclista pericoloso ne compra quantità industriali all’ingrosso, nei peggiori spacci dell’hinterland milanese). Il pacchetto della suddetta – rumorosissmo e pericolosamente in grado di svegliare familiari e congiunti – viene aperto in bagno, a porta chiusa. Ogni domenica, ogni volta nello stesso identico, autistico, modo. Un rituale da psichiatria forzata.
La crostatina viene seguita, a sua volta, da circa mezzo litro di acqua naturale. Poi, 2 borracce Assos – nuove: stupende – riempite: una con i sali (anche questi accuratamente preparati la sera prima: nella fattispecie una bustina di Polase Sport, disposta sul tavolino lengno Ikea del cucinino), l’altra con acqua.
Barretta con maltodestrine infilata nella tasca, rigorosamente la laterale sinistra; seconda crostatina (questa solo nel caso delle uscite superiori a 100 km) , nella tasca laterale destra, mantellina anti-vento nella tasca centrale, insieme alla pompa d’emergenza, in carbonio, per eventuali forature di lusso. Si parte.
Cantina: recupero del mezzo. La belva da gara. Nera e tipicamente da ciclista pericoloso.
Stretching.
Appuntamento al bar. Sempre lo stesso. Sempre alla stessa ora. Cascasse il mondo.
Arriva l’altro ciclista pericoloso, a bordo della sua belva pericolosa. Piccoli omicidi tra amici.
Al bar, corso Buenos Aires, di fronte alla Feltrinelli (l’unico aperto alle 7:30 della domenica mattina): briochina, prelevata compulsivamente sempre nella stessa posizione dalla vetrinetta delle suddette: in basso a sinistra, la seconda. Se manca, e non manca mai, il ciclista pericoloso potrebbe incorrere in un altrettanto pericoloso cortocircuito e non partire.
Caffè, il ciclsita pericoloso uno. Cappuccio, il ciclista pericoloso due.
Radio accesa: sempre sulla stessa stazione – Radio Kiss Kiss – sempre, sembra, sullo stesso pezzo: credo Amy Winehouse, “Back to black”. A proposito di pazzi da ricovero.
Solito avventore mattutino, il range di età va dagli ottanta ai novant’anni. Guarda le belve da gara, sistemate in modo da esser visibili ai ciclisti pericolosi mentre si nutrono e si abbeverano prima della fatica, con aria di soggezione. Domanda tipica dell’avventore ottuagenario: “Ma quanto custen chei robb lì?”
Risposta tipica del cilcista pericoloso: “Tanto, meglio che lei non lo sappia, potrebbe venirle un cardiopalma qui in questo momento”.
Dimenticavo: il caffè e il cappuccio vengono consumati in piedi, poggiati su un tavolino modello bistrot parigino, fatto venire direttamente da Parigi apposta per loro, a pochi metri dalle belve.
Saluti, a domenica prossima: nulla cambia, nulla deve cambiare in questo rituale coatto da TSO.
I ciclisti pericolosi prendono la strada. Corso Buenos Aires è lunare: solo un pattuglia dei vigili ferma, che segna sull’asfalto con il gesso le tracce dell’ennesimo incidente del sabato sera. Nell’auto, ferma a pochi passi, due ragazzotti dell’hinterland con l’aria allampanata ci guardano come fossimo palombari.
Milano non ne vuol proprio sapere di svegliarsi. E questo è il bello di queste domeniche da malati di mente: non c’è nessuno in carreggiata con te. Sei tu il guardiano della strada. Allunghi su viale Monza, vedi altri ciclisti pericolosi pronti all’adunata davanti al mercato coperto di Piazza Martesana, a Gorla. Superi Precotto, a Sesto volti a destra, compulsivamente, in viale Italia. A occhi chiusi.
Acciaierie Falk, una delle poche fabbriche rimaste in questo paese all’insegna di “self made men”. Cologno Monzese in tutto il suo splendore. Ponte sopra la tangenziale. Tratto a due corsie. Villasanta. Ad Arcore, rotondone. Il fiume di ciclisti pericolosi si ingrossa. Si inizia a salire: si prende a sinistra per Lesmo e Peregallo. fino a Monticello Brianza, sarà così. Dopo il Monticello, luogo di messa pagana a due ruote, si pedala in direzione Lecco. Poi a destra: Viganò – Sirtori. Prime rampe. Gradoni folli, fatti ancora il 50 e le gambe addormentate. Primi indurimenti di polpaccio. Discesa con tornati su Perego. Volta a destra. Primo bivio a sinistra. Siamo al Colle. Il caro, vecchio Colle Brianza. L’amico del ciclsita milanese. Il luna park delle salite. L’apoteosi dell’autismo compulsivo: centinaia, migliaia di caschi colorati che s’addossano su ogni vicolo e vicoletto. Come api attorno al miele. Un labirinto o un formicaio in salita. Il Colle è un colle. Intendiamoci. Nulla più. Al milanese pare il massiccio dell’Ortles. Ed ecco che d’un tratto il Beverino, nota salitella di pochi chilometri, si trasforma nel Gavia. Se ci attacchi il Giovenzana, diventan 6 chilometri da Castello Brianza. Gli ultimi al 10-12%. E se fai Giovenzana, via Paù (un nome un programma), passi da Cagliano e tocchi il 19%. Il Passo Giau materializzato in Lombardia.
Ecco che i due ciclisti pericolosi affrontano l’ascesa al Colle, via Castello Brianza. 4,2 km al 7%. Poi planano come avvoltoi verso Rovagnate. Indi, si dirigono come destrieri medioevali lungo la SS. Briantea, direzione Perego: che da queste parti vuol dire una sola cosa, Lissolo. Il Mortirolo de’ noantri. 2 km, poco più, tra il 12 e il 17%. In cima, senza fiato, si plana verso Perego, un’altra volta. Questa volta si risale, ma verso Sirtori. Salita più facile, ma pure sempre salita. Poi il volo verso Milano a velocità smodata. Dietro due polpacciuti ciclisti di chissà quale squadra comasca, i ciclsiti pericolosi toccano i 53 km/h. Roba da matti.
Il rientro da Sirtori a Milano, a casa, circa 37 km, si beve in un’ora.
Il rituale domenicale, la messa voodoo, è compiuta. Pronta a essere ripetuta, in maniera rigorosamente identica, la domenica successiva.
Distanza totale percorsa: 104 km
Dove: da Milano a Colle Brianza, passando per Monticello Brianza, Sirtori, Perego, Castello Brianza, Perego, Lissolo, Sirotri, Casateovo, Monza, Milano.
Salite: Monticello da Casatenovo; Sirtori da Monticello; Colle da Castello Brianza, Lissolo da Perego, Sirtori da Perego.
Tempo effettivo: 3:50′ ca.