Di-pendenza 2

Non è una grande salita. Ora mi sembra facile facile. Ha un andamento sinuoso, l’asfalto, soprattutto nella seconda parte, è molto rovinato: occorre prestare molta attenzione in discesa.
Ne parlo, del Monte Barro, perché capitò in una giornata particolare. Il 30 marzo. Mentre scollinavo, nasceva Maia, la mia terza nipotina. Aggiungeteci i primi caldi, i primi chilometraggi over 100. E, soprattutto, che da poco uscivo con la mia nuova morosa: una fiammante Cinelli Estrada, nera, Centaur Campagnolo. Il Monte Barro si trasofmò in uno sballo.

Monte Barro (da Sala al Barro) – 30 marzo 2008

scalato il 30 marzo 2007

Vista dal Mone Barro (LC): scalato il 30 marzo 2008

Ieri, due piccole, grandi imprese. La prima la nascita di Maia Giulia, la mia terza nipotina. A lei il più caldo benvenuto al mondo da tutta la troupe di versosella. Mondo che è bello, pieno di scoperte e di incantesimi, vedrai Maia Giulia. Impresa, perché proprio sembrava non volesse saperne di farsi conoscere. Tre giorni di ritardo, forse quattro, sulla tabella di marcia. È nata alle dieci del mattino. Mentre il sottoscritto si apprestava a scollinare il mitico Monte Barro. Seconda impresa di giornata. Il messaggio arriva però a mezzodì, a impresa compiuta. Sulla via del ritorno. E mi riempirà di gioia.
Bene, ora, dopo averla introdotta, passiamo all’uscitona di ieri.
Mi alzo presto: 7:45 del mattino. È domenica, è appena entrata in vigore l’ora legale – il che significa che in realtà sono le 6:45 – e io ho montato la sveglia a quell’ora. Sono pazzo. E ne sono fiero. Mario è con me. Carichi di provviste – ci aspettano almeno 110 km tra andata e ritorno e un dislivello complessivo di crica 1.000 m (suddiviso nella salita al Monte Barro, da Sala al Barro, provincia di Lecco e prima dal blando Monticello Brianza più altri sali-scendi e falsopiani)- alle 8:30 partiamo. Partenza alla Feltrinelli di Corso Buenos Aires, a Milano, poi via per viale Monza, Sesto San Giovanni, la Villa Reale di Monza e poi la SP 6 della Brianza. Percorso ormai rodato. È una domenica finalmente perfetta: primaverile e calda. E per la prima volta – rullo di tamburi – indosso le braghe corte e i guanti senza dita. Il giorno prima mi sono fatto un regalo: un bellissimo e aerodinamicissimo casco Aero, con tanto di led luminosi sul retro. Le scarpe SIDI bianche sono finalmente libere dai soprascarpe e si notano in tutto il loro splendore. Mi sento tirato a nuovo.
Ritmo blando fino a Vedano al Lambro, poi iniziamo a tenere una velocità più sostenuta. In 32 km in tutto guadagniamo la cima di Monticello Brianza. La prima salitella di giornata, tanto per scaldare le gambe. Lungo la strada è tutto un pullulare di ciclisti. Mai visti così tanti. Centinaia, migliaia. Gruppi, vere e proprie squadre, anziani in solitario con stupende specialissime, rigorosamente non-slooping, e in acciaio, forgiate da gnomi appartenenti al mondo delle fiabe, poi altre aerodinamicissime e modernissime in carbonio, persino qualche Decathlon in alluminio come la mia, cara vecchia Bruna. In sella alla mia Ishmael – Cinelli Estrada carbo&black, vado fiero in mezzo a questo popolo, cui sono felice di appartenere. È una festa. Una processione pagana di migliaia e migliaia di fedeli. Fedeli a una passione. A un sogno. A un amore a prima vista. I soli che si possono alzare alle 7 la domenica mattina per scalare il Barro.
Al Monticello, come viene chiamato in gergo qui, ci fermiamo per riempire le borracce e fare pipì. Mando giù con schifo – è una prova, in vista dei 130 km della 3 laghi – una barretta energetica con maltodestrine (energia a rilascio lento: ho davanti tanti chilometri e tante ore in sella, ora sto bene, ma avrò bisogno di forze più tardi). Si riparte. Si scende alla prima rotonda, e si prende in direzione Lecco, la terza a destra. Blando falsopiano fino a Barzanò, poi Castello Brianza dove – volendo- si attacca il Colle Brianza che vediamo in tutto il suo splendore – si fa per dire – altimetrico. A buon ritmo, in mezzo a un gruppo, guadagniamo Oggiono. Ridente cittadina al sapore di salame brianzolo dop. Dopo Oggiono – mi sembra (ma forse è prima, non ricordo bene) – c’è una bella e lunga discesa dove si raggiungono i 60/h (finora, mia velocità massima in bicicletta). Ciò significa però che al ritorno sarà salita. Un paio di km, nulla più, ma abbastanza impegnativi: pendenza media, direi intorno al 6%, ma con un tratto al 9%. Ora ricordo: è prima di Oggiono, non dopo. Dopo Oggiono, invece, la strada curva e costeggia il bellissimo Lago di Annone, sulla sinistra. Insieme al Lago di Pusiano e a quello di Garlate, lì a fianco, costituisce le propaggini del più grande (e il più profondo d’Italia) lago di Como, versante orientale. Appena prima delle fine del lago, dove la strada piega verso Valmadrera e Civate (oppure entra nel tunnel per Lecco), sulla destra scorgo a stento la deviazione per Sala al Barro. Sono 47 km da casa. Inizia qui la salita “vera” di giornata. Altimetria in dettaglio a fine post.
Si tratta di un’ascesa impegnativa: 7 km con pendenza media al 7,5%, massima all’11%. Il tratto finale di 2 km, ha però una pendenza media dell’8,3% e lunghi pezzi tra il 10 e il 12%. Non è uno scherzo. Si passa Sala al Barro e si sale subito secchi. Un tratto all’11% appena prima di entrare a Galbiate, dove un semaforo regola il traffico nei due sensi, per via di una strettoia. Poi si volta a sinistra: direzione “Parco Monte Barro”. Qui si rifiata. Siamo intorno al 4%. Meglio farlo bene: è l’unico punto con pendenze clementi di tutta la salita. Fin qui la carreggiata è bella larga e in ottime condizioni. Un paio di tornanti e si fa stretta e piano piano diventa sempre più dissestata, fino a essere uno schifo in prossimità della cima. Zeppa di buche e rappezzamenti fatti in qualche modo. In salita non danno più di tanto fastidio, ma in discesa bisognerà esser prudenti.
Si entra nel bosco, ci sono bellissimi scorci sul lago di Annone e sulla cima del Monte Barro. Mozzafiato. Occorrerà rivedere quanto di brutto ho scritto sulla Brianza tempo fa. Qui, a 2 km da Lecco, è un’altra cosa. Davvero bella e – se possibile- anche selvaggia.
Sono esaltato dalla bellezza di questa salita. Dalle sue pendenze che via via si fanno più impegnative, pur senza diventare impossibili. Con Mario saliamo all’unisono, tenendo lo stesso passo. I tornanti si fanno più ravvicinati, un’auto che scende, ci stringiamo sulla destra, attaccati al costone di roccia (ma, udite udite: dal 1 giugno al 31 agosto, questo secondo troncone di strada viene saggiamente chiuso al traffico). Le pendenze salgono ora secche: siamo sopra il 10% e non scendono manco a pagare, non consentendo di rifiatare più fino alla vetta. Ecco gli ultimi 2 km: quelli più duri di tutta la salita. A metà è posto il Monumento agli Alpini, con un piccolo rifugio che potrebbe trarre in inganno: si potrebbe pensare di essere arrivati. Ma si sale ancora. Ed è proprio l’ultimo chilometro, con gli ultimi due tornanti, quello più impegnativo di tuta la salita. Raccogliere le energie messe in cascina in precedenza diventa qui fondamentale. Accelero un po’, penso a una frase di Pantani: Perché vado forte in salita? Per abbreviare la mia agonia. Illuminante.
Voglio arrivare alla vetta il prima possibile. Accelero ancora con un rapporto agile, ma non il più agile (credo di avere un 23 dietro). Non mi gusto nemmeno lo straordinario panorama a strapiombo sul lago di Como e le Grigne sopra Lecco, che si apre all’altezza dell’ultimo tornante. Arrivo in cima come in uno sprint. Scollinando, tirando letteralmente la ruota davanti. Mario mi segue di qualche metro. Sono andato su bene. Controllo il “timer”, acceso a Sala al Barro: 30 minuti secchi, il tempo dell’ascesa. Siamo a 710 m. slm. Un piazzale sterrato segna la fine della salita (e della strada) e sulla nostra sinistra vediamo il Centro Visitatori del Monte Barro. Da lì partono vari sentieri per suggestivi trekking nel bosco, e verso la vetta, posta sopra i 900 m. slm.
Ho scoperto un bel posto e una gran bella salita. Il Monte Barro.
Stupenda e in grado di rimanermi impressa nella mente la strada che si inerpica in mezzo al bosco con i suoi tornanti stretti e le pendenze più impegnative. Diciamo dal km 4 in avanti. È davvero una delle salite più belle fatte finora. In discesa, a freni tirati – per le cattivissime condizioni dell’asfalto, ai limiti della praticabilità – mi godo il paesaggio perso all’ultimo tornante. Il blu intenso del lago di Como, stretto e selvaggio, incastonato tra le montagne: di là le Grigne, di qua il Monte San Primo. E sotto, Lecco. Il cielo non è limpidissimo e non mi sono portato la digitale: per non appesantire troppo il carico. Con la fatica nelle braccia, io e Mario raggiungiamo Galbiate dove la carreggiata torna finalmente larga e in ottime condizioni e ci lasciamo andare sugli ultimi tornanti prima di rimmergerci lungo la Provinciale per Oggiono e Barzanò. Che goduria.
Da qui al ritorno, il percorso sarà il medesimo dell’andata. Da segnalare la salita insidiosa e improvvisa (la bella discesa dell’andata) dopo Oggiono: Mario sostiene che sia la famigerata Bevera. Salita nota tra i grimpeur della zona. In effetti, si passa per località “Bevera”. È poca cosa: un paio di km, come detto. Ma può far male quando hai già il Monte Barro e più di 60 km nelle gambe. Poi lo scollinamento a Monticello, una rampetta al 10% di qualche centinaio di metri e poi via, in discesa verso Carate, poi Macherio, Sovico, la Villa Reale, dove arriva il messaggio più atteso della giornata: È nata Maia Giulia, 3,6 kg, ci sentiamo dopo. Sciambole.
Unica nota tragica (ma in grado di scalfire per bene il buonumore e il bagno di endorfine in cui navigavo fino a quel momento): negli ultimi chilometri di Vallassina, quelli più pericolosi, in mezzo al traffico veloce, vedo un’ambulanza ferma con un capanello di persone intorno. Spero che non sia un ciclista. È un ciclista. Striscia di sangue sull’asfalto, Pinarello blu accartocciata e divelta. È sulla barella. Ha la mascherina dell’ossigeno. Sembra cosciente. Lo portano via.
Perché?
Perché ogni domenica migliaia di ciclisti sono da anni costretti a farsi questo tratto assurdo di superstrada – brevissimo: solo 3 km – rischiando la pelle? Perché è inevitabile? Cosa ci vuole – lo chiedo sinceramente, senza vena polemica – a fare una pista ciclabile o una corsia protetta di soli 3 km, a bordo carreggiata (e c’è tutto lo spazio), per salvargli al pelle?
La domenica ci sono più biciclette che auto. Ce ne vogliamo rendere conto? Quanto costeranno 3 km di pista ciclabile? Da Sesto San Giovanni al Rondò di Monza. Niente di più. 3 km tra la vita e la morte. Migliaia di ciclisti li fanno ogni domenica da chissà quanti anni, nell’indifferenza e nell’inerzia generale.
Vogliamo fare qualche cosa – e in fretta – per loro, o è chiedere troppo?
A casa guardo il computer di bordo: 110 km percorsi, velocità media: 25/h, tempo impiegato: 4:25’. La 3 laghi si avvicina. In tutti i sensi.
State in gruppo.

Distanza totale percorsa: 110 km.
Dislivello complessivo uscita: 1.000 m. ca.
Dove: da Milano al Monte Barro. Passando per Sesto S. Giovanni- Monza- Carate- Monticello Brianza – Oggiono – Sala al Barro- Galbiate – Monte Barro (Centro visitatori) e ritorno.