Di-pendenza.

La salita è uno stupefacente. Una brutta bestia. Una volta che cominici a salire, non scendi più.  Hai sempre la testa tra le nuvole. Appena scendi, ti vien voglia di risalire. C’è niente da fare.
Ho deciso che pubblicherò qui dal mio precedente blog i resconti delle salite più stupefacenti che ho fatto. Sono emozioni importanti, fatene buon uso. Nell’attesa (devo ambientarmi nella nuova casa e, soprattutto, trovare il tempo, questa materia preziosa, che, attualmente, vedo come l’acqua nel Sael) ecco la prima conquista “seria” (fatta due volte, qui il resconto della seconda, il 14 aprile 2008):

Passo del Ghisallo (da Bellagio) – 14 aprile 2008

1 novembre 2007 e 14 aprile 2008

Passo del Ghisallo (CO), da Bellagio: 1 novembre 2007 e 14 aprile 2008

Se c’è una cosa che mi ha sempre fatto paura da quando vado in bicicletta, è dover affrontare una discesa sotto una coltre di nubi livide, che non promettono niente di buono. Ecco, ieri, scendendo dal Ghisallo a Erba, la mia peggior paura – come Asterix e il cielo che gli cade sulla testa – sì è concretizzata con tutti i suoi crismi. Cielo nero, vento, freddo gelido. Prime gocce ghiacciate. E io che mi facevo piccolo piccolo a bordo della mia cara Ishmael, guarita per l’occasione. La velocità era notevole. Quella discesa è stupenda. Veloce, asfalto in ottime condizioni. Ma non affrontata con vento contro, freddo e temporale in agguato. Come ieri.
Ma andiamo con ordine. Come al solito. Bene, come avrete certamente capito, la “sorpresa” di cui avevo parlato giorni fa, era il Ghisallo. La seconda volta (la prima 4 mesi fa).
Già, il Ghisallo, la seconda volta. Nulla a che vedere con la prima.
Il versante è lo stesso, ovviamente. L’unico per me concepibile: quello da Bellagio. Quello del Giro di Lombardia. Quello delle scritte inneggianti a Bettini, Visconti, Cunego. Quello con il tratto al 14%. Quello con i tornanti finali da brivido, che spezzano le gambe a chi si crede già arrivato. Quello del mito.
Ma stavolta è un’altra storia: si parte da poco dopo Monza (Sovico, per la precisione) e lì si ritonra. E si raggiunge Bellagio, come non bastasse, non via diretta per Oggiono – Civate e poi il lungolago fino a Bellagio. No, noi si fa il Ghisallo passando prima per Erba – Canzo -si volta per Valbrona e si scende a Onno, per poi fare l’ultimo tratto di lungo lago fino a Bellagio. Insomma, ci si aggiunge un po’ di dislivello, in vista della Gran Fondo dei 3 laghi di domenica prossima. La mia prima Gran Fondo. Non nascondo che un po’ di paura ce l’ho. E il fare il Ghisallo in questo modo, era un banco di prova necessario.
Indi per cui le previsioni del tempo incerte non hanno minimamente scalfito i nostri propositi. Ormai era deciso: Ghisallo project facendum est.
Domenica mattina. Sveglia folle (siamo solo noi) alle 7:15. Mario passa in auto. Raggiungiamo Monza e poco dopo la Villa Reale, a Sovico, parcheggiamo. Mentre scarichiamo le bici e ci cambiamo, profumo intenso d’erba bagnata, aira pultia, spazzata dai temporali dei giorni precedenti. Il cielo è nuvoloso. Fa freddino. Una decina di gradi, forse neanche. Pantaloni corti, giacca windstopper da mezzastagione. Si infilano le tacche nei pedali e via, si parte. L’impresa ha inizio. Quando hai davanti un obiettivo psicologico, quello che ti sei prefisso da tempo (erano almeno due mesi che era in programma), quando si è in due, affiatati, in grado di riconoscere ormai con un semplice sguardo lo stato d’animo dell’altro, questi momenti – quelli della partenza – sono unici. Forse i più belli. Si respira aria frizzante, lo shining negli occhi, il sogno piantato in testa. Ti senti grande. Pensi a tua moglie, ai tuoi bambini. Mattia, il più grande dei due, ha detto alla mamma “vedrai che il papà ce la fa a salire su quella montagna”, la mamma era un po’ preoccupata. E tu ti senti carico di tutte queste cose, e ti senti, forse, l’eroe per qualcuno. Non foss’altro che per te stesso.
Per strada non c’è nessuno. Le nuvole ci accompagnano per tutto il primo tratto. Giunti a Carate Brianza, proseguiamo dritti, verso Arosio e Giussano. Dove una rotornda ci immette dritti sulla statale per Erba. Si incontrano Inverigo, Lambrugo, Merone, Lurago d’Erba. Nomi che ogni volta che li sento, mi vien da ridere. Sono così buffi, non trovate?
La strada non è perfettamente in pianura. Dopo Lurago, plana in discesa, a due corsie. Ma il traffico è modesto. Intenso invece quello dei ciclisti. Sembra di essere in gara. Un gruppo di una ventina, in trenino,  ci supera. Noi andiamo piano, dobbiamo ancora carburare e i chilometri che abbiamo davanti (per non parlare della salita) non permettono cazzate. Giunti a Erba, alla prima rotonda si piega a destra: direzione “Canzo”. Si costeggia il lago di Segrino, pieno zeppo di ciclisti, nei due sensi di marica. Poi si riprende a salire e si raggiunge Canzo. Ricordo la Lardini, compagna del Liceo, e il suo monolcale a Canzo. Ci si andava con le Ferrovie Nord, da Milano Cadorna. Sembrava bello. Ricordi ormai confusi. Oggi sono a Canzo in bici. Subito si inizia a salire, appena usciti da Erba. Bella strada, pendenze dolcissime. E graduali. Intervallate da falsopiani. Mario piscia per l’ennesima volta. Forse la tensione. Il cielo nel frattempo si è aperto. C’è un bel sole. E la temperatura ha preso a salire. Dopo Canzo, è la volta di Asso, dove a destra c’è la deviazione per Valbrona. Saliamo ancora, poi dopo Valbrona si va in picchiata verso Onno, sul lago di Como.
Questo tratto di strada merita un capitolo a parte.
E’ semplicemente stupendo. Letteralmente incastonato nella roccia: in mezzo ai boschi, nel primo tratto; in discesa con tornanti repentini, nel secondo. All’improvviso, si apre alla vista quel ramo del lago di Como. E – aggiungerei sempre dallo stesso – quel cielo di Lombardia che è così bello quando è bello. E oggi è bellissimo: finalmente azzurro, caldo, con il sole, palla gialla nel blu, a chiamarci. Le barche sul lago, il battello, i paesini che dalla costa salgono fin sulle Grigne, imbiancate da metà in sù. C’è ancora molta neve, anche dalla nostra parte: duecento metri sopra è tutto un candore. Che bellezza. La strada è casa di ciclisti. Praticamente assenti le auto. Molti salgono facendo “La Onno”, la versione semplificata del Ghisallo. Altri scendono. qualcuno si ferma a godere del panorama. Arriviamo giù a Onno per le 10, poco dopo. Lì abbiamo appuntamento con Davide, che in MTB ci sta raggiungendo da Bergamo. Lì Mario buca. Pfffffffffffffff fa la ruota. Panico nel volto. Io mi mangio una barretta al cacao. Schifosa, ma utile. E tracanno acqua come se piovesse. Mario cambia la camera d’aria. E Davide ci ha raggiunti. Si parte: di lì a 10 km, ci attende il mito. Il Ghisallo, quello vero. La statale da Bellagio a Lecco è interrotta al traffico automobilistico, proprio all’altezza di Onno, in direzione Lecco, causa frana. Indi, il traffico, in questo tratto, è praticamente assente. Andiamo chiacchieranti, respirando la tensione. Alla rotonda con l’indicazione “Guello-Magreglio, Madonna del Ghisallo”, ci fermiamo. Mangio mezzo panino alla marmellata di albicocche, preaparato la sera prima, azzero il timer, ci guardiamo tutti e tre negli occhi, e via. Si parte.
Ognun per sé: ci si attende in vetta. Questa la legge della salita.
Io e Mario procediamo affiancati, l’andatura è meravigliosamente la stessa. E’ raro capiti. Io conosco la salita, per averla già fatta solo quattro mesi fa. Mi pare oggi un’eternità. Allora ero con la Bruna e nemmeno immaginavo di avere un giorno Ishmael e di prepararmi per la mia prima Gran Fondo. Oggi vado su meglio, più concentrato, e oso di più. Subito arriva il 14%. Poi Mulini di Perlo, dove inzia la serie dei tornanti nel bosco; il cielo – per il momento – si mantiene azzurro. Prendo larghi i tornanti e vado su bene. Sono i primi 5 km quelli duri qui. Poi, arrivati a Guello, la strada spiana. Un paio di km, con un tratto persino in discesa. Poi si arriva a Civenna, e si riprende a salire. Mario mi segue tranquillo, gli mostro con lo sguardo gli ultimi tornanti che ci aspettano. Una mazzata: sopra il 10% di nuovo. All’improvviso. Quando meno te l’aspetti. Saranno i più duri, stavolta. Infatti Mario mi passa. Proprio sull’ultima rampa, prima della chiesetta e del cartello Magreglio. La cima Coppi di giornata. Mi complimento con lui: dopo averlo tenuto dietro per quasi tutta la salita, nel finale mi ha staccato mostrando una condizione atletica eccellente. Guardo il timer: 35′:30″. La prima volta, quattro mesi fa, ci avevo messo 41′:20″ (e non venivo da Monza, ma mi ero fatto lasciare in auto a Onno). Tempo ottimo. Ci fermiamo ad aspettare Davide, che in MTB sale più lento. E il cielo comincia a coprirsi, il vento ad alzarsi. Siamo anche un po’ in ritardo (causa foratura a Onno) sulla tabella di marcia – moglie e figli. Appena giunge Davide, sudato fradicio, abbiamo giusto il tempo di scambiare quattro chiacchiere, riempire le borracce alla fontanella e riprendere la marcia. Davide ci saluta: lui si ferma ancora un po’. Noi dobbiamo rientrare. La discesa è bellissima e velocissima, come già detto. Ma il cielo è ormai chiaramente gravido di pioggia. Nubi scure si ammassano, mano mano che scendiamo, sopra i nostri pensieri inconsapevoli. Comincio ad avera un po’ di paura. Poi guardo un gruppo di cavalli correre nell’erba, al mio fianco, e mi dico: però è anche bello; sa più di impresa. Proseguo tra pieghe e rettilinei. In fretta si arriva ad Asso dove iniza a piovere e c’è anche una piccola galleria. Non vedo assolutamente un cazzo. Non ho il tempo di togliermi gli occhiali da sole. Stringo le gambe e il culo e spero che Dio me la mandi buona. Vado dritto e esco dall’altra parte tranquillo. C’è la stazione delle Nord (da lì a Milano fan caricare anche le bici: pensiero che non esiste nella testa di un ciclista). Dopo Asso, è la volta di Canzo: lì sbagliamo strada. Invece di proseguire dritti e ripassare, come all’andata, per il lago di Segrino, pieghiamo a destra. La strada si allunga e ora il temporale è sopra di noi. E’ come se ci inseguisse. Le gocce grosse, le prime di un temporale, continuano a pioverci addosso. Poche, per fortuna, e discontinue. Noi pedaliamo semrpe più veloci: vogliamo levarci di lì il più presto possibile (non abbiamo nemmeno le mantelline). Costeggiamo per un lungo tratto la ferrovia, finalmente ripieghiamo a sinistra e entriamo ad Erba, dove si apre la pianura padana. La cara, vecchia pianura padana. Quasi ho un sussulto e vorrei baciare Calderoli. Anche perché di là, verso Milano, il cielo è aperto: niente nuvole nere, solo qualche batuffolo di cotone bianco. Siamo salvi.
Ci perdiamo un po’ in quel di Erba, sghignazzando, e poi chiedendo un po’ qua un po’ là. Ci riimmettiamo nella strada giusta, quella fatta all’andata: direzione Milano. Si ripassa per Lurago, Lambrugo, ove ci affianca  un ciclista panzuto ma coriaceo, nativo di Mariano Comense. Gli chiedo le indicazioni per Arosio e Giussano. Mi risponde con forte accento comasco, urlando come un pazzo, entusiasta del poter essere d’aiuto a qualcuno. Inizia a raccontarmi delle sue imprese di giornata, a getto continuo, come un fiume cui han tolto le chiuse. Non smette. Mario allunga il passo. E’ in preda a una crisi di riso. Lo vedo.
Io rimango lì bloccato da solo. Ad ascoltare questo grimpeur lariano, paonazzo, con gli occhi spiritati. Se provo a superarlo, allunga subito e mi riprende. E riattacca a parlare. Non riesco a interrompere il suo flusso verboso incessante. Ne sono letteralmente travolto.  Nei saliscendi, se lo stacco in salita, mi riprende in discesa. E ricomincia. Urlando.
Mario sta alla larga. E ride.
Finalmente c’è una rotonda: è quella giusta. Il grimpeur lariano, urlando come un pazzo, ci dice di anadare a sinistra: per Besana Brianza – Carate – Monza. Ci elenca, come fossero bestemmie – da pronunciare rigorosamente a raffica – tutti i nomi dei paesini che di lì in avanti incontreremo: vuole essere sicuro di non farci sbagliare. Poi ci saluta e va dalla sua.
Sono le 13:30. Io e Mario siamo felici come due bambini. Tanto che a Carate sbagliamo ancora strada. Torniamo indietro, non fa niente. Riinfiliamo quella giusta. Si ripassa per Macherio e poco dopo c’è Sovico, e il distributore Esso: lì di fronte abbiamo lasciato la macchina la mattina.
Non è finita con i titoli sui giornali: Ciclisti milanesi scomparsi: ritrovata l’auto abbandonata nella brughiera brianzola. Telefoniamo a casa. E’ fatta.
In testa ancora i cumulonembi lividi sopra Canzo; Il temporale scampato; la discesa da Valbrona a Onno, una delle strade più belle mai fatte in bicicletta; la ruota di Mario che fa puffffffffffffffffffffffff; il panino alla marmellata di albicocche all’attacco del Ghisallo, a  Bellagio;  l’incrocio dei nostri sguardi prima di iniziare la salita; Davide madido di sudore e di fatica che arriva in vetta; e poi ancora Mario che ride (come si dovrebbe ridere sempre), soltanto per via di un panzuto e verboso grimpeur lariano; e poi le strade, infinite, sbagliate; gli sguardi; i sogni; la bellezza di uno sport unico.
Che non ha pari.
Una volta Eddy Merckx disse:
Percorri una strada in macchina, e te ne fai un’idea. Poi la percorri in bici, e cambi l’idea.
Ho fatto questa stessa strada in auto, salita  a parte, solo 4 mesi fa. Mi sembrava impossibile riuscire a coprire una distanza simile con la bicicletta, considerata anche la durezza e la fatica che la salita al Ghisallo da Bellagio porta con sé. Oggi invece ho capito che si può eccome. Non solo, ma che è anche una cosa estremamente naturale, semplice, quasi spontanea. Ma, soprattutto, ho capito che la soddisfazione per aver fatto il Ghisallo diventa immensamente, immensamente più grande.

Distanza totale percorsa: 104 km
Dislivello complessivo uscita: 1.200 m.
Dove: Da Sovico (Monza) alla Madonna del Ghisallo (Co), passando per Carate – Arosio – Inverigo – Erba – Canzo – Valbrona – Onno – Bellagio – Ghisallo. Ritorno per Canzo – Erba – Lurago – Arosio – Carate.
Tempo effettivo impiegato: 4 ore.
Tempo ascesa al Ghisallo, da Bellagio: 35′:30″
Vettovaglie: una barretta con maltodestrine (gusto cioccolato); un panino al latte con marmellata di albicocche; 4 ablicocche secche; 2 borracce d’acqua da 500 ml l’una.