Punto.


“Metti un punto in mezzo a questa benedetta frase”. E la frase cambiò.
Ho imparato a scrivere, e a mettere i punti, da lui. Mi aveva messo in mano una Olivetti, anche se eravamo nel 2000. Io protestavo perché volevo il pc. Anzi, il mac.
Poi ho cominciato ad apprezzare quel rumore di ferraglia proveniente dai tasti. Nemmeno ho fatto in tempo, che mi hanno portato un pc.
Mi aveva messo a bottega, a me e ad altri 7 scapestrati. Quegli anni sono stati bellissimi. Non torneranno. Ne verranno di nuovi.
Una volta mi prese in sala riunioni e mi disse: spegni il computer, c’è lo Zoncolan.
Andammo insieme a sederci davanti alla tv, manco fosse la finale dei mondiali di calcio. C’era la tappa del Giro d’Italia con il mostro. Lo Zoncolan da Ovaro. Ricordo come contemplammo assieme – io, per la verità un po’ in soggezione – attoniti l’ascesa ai limiti dell’equilibrio degli atleti. C’era Simoni, il Gibo, c’era Di Luca, che poi vinse il Giro (e risultò positivo proprio in quella tappa), c’era Riccò, il Cobra di Formigine che proprio oggi viene escluso dal prossimo di Giro. Fu strano, vedere una tappa del Giro d’Italia con il tuo capo, invece di lavorare.
Ogni tanto penso di avere avuto la fortuna di avere lavorato con lui. Ogni tanto penso che magari qualche cosa l’ho imparata.
Si passava da Gadda a Flaiano a José Mourinho e Jimi Hendrix. Una volta mi portò una vecchia pagina di giornale, ingiallita.
Corriere della sera, 1972. In calce c’era la firma di Pier Paolo Pasolini.
Me lo lasciò, lo lessi d’un fiato. Pasolini analizzava una sua pubblicità per un paio di blue jeans. Jesus Jeans.
Beh, ho avuto la fortuna, se i gradi di separazione esistono, di lavorare con chi ha avuto a che fare con Pasolini.
Credo, oggi, sia una fortuna.
Proprio oggi che la vita ha deciso di mettere un punto alla fine della sua, di vita.
Ciao Emanuele, che la terra ti sia lieve.