Bucare humanum est.

Io, prima del buco.
In breve: ho bucato io, oggi.
A far dell’ironia sugli altri si finisce male.
Un bel pasticcio, considerato che ero in pausa pranzo, e dovevo rientrare in ufficio per ingurgitare in tutta fretta una merendina dal distributore automatico. Ma il ciclsita pericoloso non si scompone.
Abbiategrasso. Ruota posteriore che inizia a sbandare e beccheggiare. E in un amen è completamente a terra con il copertoncino che annaspa sull’asfalto della ciclabile Naviglio Grande.
E’ la quarta volta in un totale di dieci uscite con questa bici “di riserva”. Dovete sapere infatti che il ciclista pericoloso possiede due destrieri. Una, la belva da gara, è al momento a rifarsi seno. L’altra, il muletto, corre anche per le strade di Milano e viene trattata decisamente con molto meno amore. Sto cominciando a pensare che ella dunque si ribelli, in preda alla gelosia. Già perché 4 volte su 10 uscite e sempre la stessa ruota, maleficamente la posteriore, comincia a essere un po’ troppo per venir considerata una semplice coincidenza. Eccheccazzo.
Comunque, bella uscita. Veloce, sotto il sole – questo sconosciuto – improvvisamente risorto, dopo l’ormai abituale settimana di secchiate d’acqua (prese tra l’altro rigorosamente tutte, in bici, in città: non uso praticamente  altro mezzo di locomozione, sto subendo una mutazione genetica, presto mi cresceranno le pedivelle).
La giornata è bella, l’aria frizzante, Gaggiano sembra Portofino.
Corro che è un piacere. Prima ad andatura agile 30/h. Poi, dopo Gaggiano, as usual, inserisco il 50 e tiro come un pazzo da rinchiudere. Che bello. Ne avevo bisogno.
Ad Abbiategrasso, inversione in quel del grazioso cimitero comunale, e via, più veloci della luce.
Ma non della sfiga.
La foratura arriva subdola. Come un mal di pancia, dopo una ricca abbuffata.
Ma in fondo: chissenefrega. Nulla può scalfire un’ora e mezza così.
Cambio la camera d’aria, la infilo nel copertoncino – che è nuovo di pacca: fa un po’ fatica a entrare nel cerchione – mi bevo un goccio d’acqua, guardo un filare d’alberi e un’anatra sola che sguazza nel fango,  e trovo un senso anche in questa foratura. Hegelianamente necessaria.
Ora vado dal ciclista a ritirare la belva da gara col seno rifatto e a lasciargli il muletto. Le bici so’ piezz e cor’.