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Camera d’aria.
Riflessioni a ruota libera di una mente malata. Altro che di un ciclista pericoloso. Questa rubrica del blog sarà dedicata agli sfoghi, ai sospironi, alle pene d’amor del ciclista di-pendente. Egli è infatti, talvolta, impossibilitato a correre a bordo della sua specialissima, per cause di forza maggiore (leggasi: lavoro, duro lavoro). Ecco allora che gli incontri amorosi si diradano. I sospiri e le pene aumentano. Si fa strada la pericolosa, inevitabile, crisi di astinenza.
Occorre dunque una valvola di sfogo. Magari tarata sui 9 bar. La pompa la forniamo direttamente noi.
Domenica scorsa ho fatto il bravo: non sono stato pericoloso. L’avevo promesso: niente uscita. Forse farei meglio a intitolare questo post: “Confessioni di un ciclista pantofolaio” dunque.
Sono pericolosamente piombato cioè in uno stato catatonico.Tale stato perdura da giovedì scorso. Giorno dell’ultima uscita, per altro corta, consumata durante la pausa pranzo. Ah già, molti di voi non sanno: il ciclista pericoloso si serve degli interstizi più improbabili che la giornata mette a disposizione, per farsi. Si fa di nascosto: si cambia d’abito nel bagno dell’ufficio, corre all’impazzata per un’ora e mezzo circa (qualcosa meno), lungo il Naviglio Grande, fino ad Abbiategrasso, poi torna – armato di sorriso ebete e pupille dilatate – al suo pc. Si nutre in malomodo e appossimativamente: briochina fantozziana dal distributore dell’ufficio, rigorosamente scaduta, prima, e schiacciatina/panino modello suola di Rebook dopo. Ma tant’è. Egli è felice.
Stavamo dicendo? Ah, sì: l’ultima uscita risale a giovedì. Scorso. Poi il nulla.
O meglio: le pantofole, i gonfiori addominali (puramente psicologici: il peso è invariato, la forma anche, ma il ciclista pericoloso teme di aver irrimediabilmente perduto ogni condizione precedentemente raggiunta), lo stato di astinenza mentale. In una parola, il ciclista pericoloso, per usare un’espressione da Zoo di Berlino, sta a rota.
Ecco, da venerdì scorso, sto a rota, signori miei. C’è poco da scherzare.
Ecco dunque le ragioni di questo sfogo. Ecco i motivi di questa, necessaria, salutare, terapeutica “Camera d’aria”.
Buaaaaaaaaaaah, non ne posso più! Fatemi uscire!!
Guarda tu che schifo di tempo là fuori: sembra di essere a Milano. Anche oggi che c’avevo il tempo, niente.
E’ da martedì che cerco di drogarmi e non ci riesco. Cazzo.
Domani, cascassero il Giau e la Forcella di Berbenno, vado a farmi. Un’oretta, un’oretta e un quarto. Tutta per me. 40 km, a tutta. E vaffanculo.
Poi sto bene. Prometto.
Ah, e smetto quando voglio.